Alla scoperta dei paesaggi, di oasi solitarie e del fico nerucciolo
L’isola ha sempre il suo fascino. Approdi a terra dopo un viaggio in mare, dove capita di vedere anche un pesce spada saltare (la rima non è cercata, ndr). Spesso si perde il contatto con la bellezza della vita e della natura ma può capitare di ritrovarla, respirando, ogni tanto. E’ successo all’Isola del Giglio in provincia di Grosseto. Vi si arriva da Porto Santo Stefano, un’oretta di traghetto e poi l’immersione in un lido ancora a tratti molto selvaggio. Non so come mai ma ero ancora convinta di trovare più tracce della Concordia… forse perché l’ultima immagine, non solo nella mia memoria, ma azzardo in quella collettiva, è ferma cronisticamente lì. A quella notte e a tutti i giorni che sono passati dopo, con quel “colosso di mare” piantato negli scogli.

TREKKING L’isola offre moltissime opportunità per gli amanti delle passeggiate immersi nella natura più incontaminata. Si possono raggiungere anche lingue di spiaggia e scogliere isolate dove poter fare il bagno in completa intimità. Ogni punto nevralgico e di snodo è arricchito con cartelli dove sono ben evidenziati i sentieri possibili. I sentieri sono di varia difficoltà, adatti a tutti. Consigliato il periodo primaverile quando l’isola è un’esplosione di fiori e profumi (dettagli sul sito ufficiale dell’isola (http://www.isoladelgiglio.it/it/mappa-dei-sentieri.html)

PARADISO DEI CONIGLI Qua e là, percorrendo da nord a sud l’isola, compaiono terrazzamenti con vista mozzafiato ma pieni di cespugli incolti. La viticoltura si pratica ma è da considerarsi eroica, visto la difficoltà delle pareti, a picco sul mare, e la presenza del Parco Naturale protetto uno dei più grandi e più controllati della Toscana. Una terra che ha conquistato un produttore veneto e sua moglie. Loro sono Massimo Piccin e Alice Dal Gobbo, da Vittorio Veneto, passando per Bolgheri dove Piccin ha un’azienda affermata, Podere Sapaio (produce il rosso di taglio bordolese conosciuto in tutto il mondo), si sono spinti, via mare, al Giglio e ne sono rimasti folgorati. Il primo vero prodotto è Ansonica pura 2015 (300 bottiglie per partire), un vitigno autoctono isolano un po’ in disuso ma con grandi potenzialità. Il nome dell’azienda e del vino è un omaggio anche un po’ provocatorio ai molti conigli che in libertà vivono l’isola, con grande dispiacere da parte degli agricoltori, che gli sono ostili, perché mangiano l’uva. Tremila metri di vigneto in località Le Secche, vicino al Faro del Fenaio, una delle zone più calde dell’isole e ancora 9000 metri (5000 metri di macchia mediterranea sotto il vigneto delle Secche e 4000 in località Bacarinello verso il faro di Capel Rosso).

In tutta l’isola sono registrati poco più di 15 ettari e un paio, in crescita, quelli di Piccin che tenterà l’avventura in bianco e in futuro anche qualche specie autoctona rossa. “Nel maggio del 2015 il primo viaggio al Giglio – racconta Piccin –. Ci ha colpito il fatto che all’inizio del ‘900, leggendo le testimonianze locali, vi era vigna ovunque, ora invece è quasi tutto in abbandono. Per noi invece è apparso un luogo ideale, un’isola di pace e intimità. Venendo al vino, dopo una prima vendemmia nel settembre 2015, ne è seguita una il 29 agosto scorso con la novità della vinificazione in anfora. Abbiamo cominciato a sistemare le terrazze e piantare le barbatelle, ma il lavoro maggiore sarà fatto nel febbraio 2017 quando saranno pronte le “marze” fatte sui vecchi cloni delle vigne”. “Si tratta di un progetto di sinergia tra uomo e natura – continua Alice – una coltivazione etica che ha alla base la collaborazione, evitando l’aggressione e sviluppando la manualità, la forza umana con l’ausilio dell’energia naturale. Un lavoro attivo che aiuti anche la mente, pratiche più faticose, ma non artificiali e in pieno rispetto del territorio. Per fare un esempio dobbiamo portare via le uve dal vigneto in spalla. Cerchiamo di promuovere un modo di fare agricoltura sociale, sperimentando metodi alternativi di scambio e consumo, come il baratto. Infine la nostra è anche una volontà di rivitalizzare l’isola, vi sono rimaste solo persone anziane che fanno vino per uso familiare. Proporre così uno sviluppo alternativo nell’ottica originale che il vino significa convivialità e, perché no, stimolare il ritorno alla coltivazione della terra”.
RISTORANTE DA SANTI Un tempio della cucina locale, semplice ma non troppo, è al ristorante da Santi a Giglio Castello. Una terrazza che si affaccia sull’insenatura dell’isola. Pesce fresco di giornata, anche alla scoperta di un pescato non troppo commerciale, per chi ama il vero gusto isolano. Speciale la panzanella fatta con avocado, pane croccante, gamberetti , pomodoro e menta. Con sopra una colata di burrata. Non si può lasciare l’isola senza assaporare la famosa “tonnina”, si tratta della parte meno nobile del tonno che viene conservata sotto sale e condita con cipolla e olio. Nell’isola sono molto diffuse e gustose le schiacce proposte con acciughe, pomodori e cipolle, la cosidetta Pizza gigliese. Oppure focaccia con prosciutto salato e fico nerucciolo dolce (alla base del panficato, la specialità più antica, a base di frutta secca e cioccolato), anche come dessert.
ANSONICA IN OGNI BAR Servita nel bicchierino, basso e a bocca larga, come una volta. Conservata nella bottiglia di vetro con tappo a chiusura ermetica, come la spuma. Da provare in ogni bar che serve un produttore diverso. Interessante la produzione delle cooperative, una esistente, un’altra appena nata (Laudata sii).