Da un anno Feudi di San Gregorio è diventata una  Società per azioni Benefit. E sono tantissimi i nuovi progetti che interessano il gruppo visionario con sede in Irpinia come la nuova collezione di arte contemporanea, un progetto il cui ricavato andrà tutto alla Fondazione San Gennaro di Napoli. Queste e altre questioni sono state affrontate durante la presentazione delle nuove annate di Cutizzi, Pietracalda, Serrocielo, Visione rosato e Taurasi.

Feudi lavora oggi su 300 ettari di vigneto articolati in oltre 800 particelle, che differiscono l’una dall’altra per altitudini, esposizioni e pendenze, e che la cantina ha studiato singolarmente per valorizzare la bio-diversità del territorio e dare vita a crus straordinari. Prima azienda vinicola del sud Italia, con oltre 30 milioni di fatturato e un export che copre più di 50 Paesi nel mondo.

Antonio Capaldo, presidente dal 2009  ha reinterpretato l’anima agricola costituendo una realtà protagonista non solo del Sud ma di tutto il panorama vitivinicolo italiano. “È il passato che ci insegna il futuro – afferma Antonio Capaldo – il passato dell’Irpinia ma anche il passato come valore assoluto con il suo carico di sapienza, di lentezza e di emozioni in un territorio di straordinaria tradizione agricola”. Un enorme tesoro – anche genetico – che nella prospettiva di Feudi di San Gregorio è la molla per proiettare il vino e tutto il territorio oltre il futuro prossimo e oltre i propri confini. “Costruire per i nostri nipoti, ragionando sul lungo periodo, è una delle nostre prerogative” conferma il produttore. E così, Feudi di San Gregorio oggi rappresenta una viticoltura che unisce valore e immaginazione, scienza e creatività, e lontano da ogni stereotipo avanza nel suo percorso per intuizioni segnando tendenze. “La trasformazione in Società Benefit è, per noi, al tempo stesso una conferma e un punto di partenza – continua Antonio Capaldo -. E’ la conferma di un impegno intrapreso ormai da tanti anni per un’azione sostenibile, in termini ambientali, sociali ed economici: un impegno volto a preservare la comunità che ci circonda, cercando di lasciare un mondo migliore di quello che abbiamo trovato. Un percorso testimoniato dai numerosi progetti sviluppati negli ultimi anni, dall’implementazione di metodi di coltivazione a sempre minore impatto (sviluppati in partnership con centri di ricerca nazionali e internazionali), all’adozione di componenti di packaging sempre più sostenibili, all’utilizzo di energia da fonti rinnovabili fino ai progetti nel sociale (come la partecipazione, in qualità di socio fondatore, alla Fondazione San Gennaro). E’, però, al tempo stesso un punto di partenza perché, per la prima volta, ci siamo spinti a identificare un programma pluriennale complessivo di intervento, inserendolo formalmente nella nostra carta statutaria. Da tale programma discendono poi degli obiettivi progressivi misurabili e concreti su diverse direttrici.”

Pierpaolo Sirch l’uomo di vigna e responsabile di tutto il comparto produttivo che, insieme alla sua squadra, segue nel dettaglio ogni singolo vigneto monitorando costantemente l’evoluzione delle viti durante il ciclo vegetativo e non solo. “Di fatto l’Irpinia è un’immensa banca dati genetica –afferma- uno scrigno di profumi e sapori diversi scomparsi dalla nostra memoria gustativa che devono essere salvati. La sfida di Feudi di San Gregorio -continua- è quella di cercare e proteggere la diversità per sé stessa. La non-omogenità è un valore portante per il vino del futuro, non solo per Feudi”. I vigneti, infatti, hanno piccole estensioni e vanno scovati tra i boschi, gli ulivi secolari e le erbe aromatiche. Si trovano nella provincia di Avellino (Fiano), nell’areale di Tufo vicino alle miniere di zolfo (Greco), a Taurasi (Aglianico) e nel Sannio (Falanghina e Piedirosso) fondendosi in una molteplicità di modi e culture diverse di coltivare la vite. Tutti gli appezzamenti sono situati su pendii compresi fra i 350 e i 700 metri s.l.m. per un totale di circa 300 ettari. “Ogni vigneto per noi è un tassello essenziale -conferma Capaldo – per questo vige il metodo di potatura soffice, basato sui vecchi metodi e messo a punto dai Preparatori d’Uva Simonit-Sirch; tale meccanismo virtuoso, portato avanti con costante impegno, salvaguarda le gemme delle “viti archeologiche” per poterne riprodurre l’identità”. Per questo oggi i nuovi impianti si affiancano ai vigneti più antichi in un incastro virtuoso dove vince la personalità del territorio. Filo conduttore di tutti i vini è il “timbro” che imprime su di essi l’Irpinia: verticalità, grande sapidità e freschezza. “L’acidità – spiega Sirch – è la spina dorsale del vino, la sua prospettiva. Le uve irpine ne sono ricche e l’abbiamo sposata nei nostri processi di vinificazione”. Sono tre le linee di etichette animate da altrettante “regie produttive”, al fine di cogliere aspetti sempre diversi e nuovi del territorio: i Classici, le Selezioni, le Eccellenze.

Feudi di San Gregorio da oltre quindici anni collabora con varie Università italiane e internazionali per la ricerca, lo studio genetico e la riproduzione delle vigne soprattutto le più antiche (dai 70 fino a oltre 200 anni) che ancora popolano l’Irpinia. Da questa ricerca continua hanno preso forma progetti che hanno dato vita a etichette in grado di raccontare il territorio in maniera sorprendente e singolare.

A fine 2022 saranno pronti anche i books Feudi Studi, un progetto che nasce dalla voglia di raccontare l’Irpinia con scelte di vinificazione e di affinamento senza compromessi, forti della consapevolezza che la viticoltura campana è il risultato di tante “piccole storie”, un mosaico composto da comunità, valli e colline, memorie, tradizioni e culture che la storia ha consolidato nel tempo. Da qui la scelta di selezionare quei vigneti che interpretassero senza mezze misure il territorio in base alle caratteristiche dell’annata. Ogni anno si producono pezzi unici in tiratura limitata (circa 2.000 bottiglie), non destinati ai canali commerciali tradizionali, la cui bottiglia esclusiva è la riedizione delle prime bordolesi del XVII secolo. Un progetto di ricerca che è affiancato dalla scrittura di un e-book di studio del territorio: un’opera, in quattro volumi, che ha l’obiettivo di consolidare dal punto di vista scientifico e storico una ricerca sul terroir che dura da ormai quasi 10 anni. Un’occasione per raccontare l’Irpinia con la visuale di insieme e, allo stesso tempo, scendendo nel dettaglio delle singole micro-aree attraverso una lente di ingrandimento.

Nascono così Goleto, Greco di Tufo DOCG e Gulielmus, Taurasi Riserva DOCG, che escono col nome della famiglia
Capaldo in etichetta per testimoniare il profondo legame della famiglia con l’Irpinia. Quasi dieci anni di sperimentazione hanno preceduto la prima annata “ufficiale” di ciascun vino. Un progetto speciale, volto a creare vini iconici che colgono l’essenza del territorio senza alcun compresso produttivo.

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Toscana pura, giornalista nel Dna, ho una laurea in lettere moderne conseguita all’università di Firenze. Non ricordo bene quando ho iniziato a scrivere, ma ero parecchio bassa. I colori e i profumi della natura mi hanno sempre ispirato, la mia valigia è piena di parole… e mi concedo spesso licenze poetiche… Poi è arrivato il vino, da passione a professione. A braccetto con la predisposizione e pratica attiva per i viaggi e la cucina internazionale e ancor più italiana… assaggiare ed assaggiare… sempre. E’ giunto il momento di scriverne, con uno spirito critico attento. Da sommelier ho affinato certe tecniche di degustazione ma quello che conta nel vino,come nella vita, è l’anima. Basta scoprirla. E’ bello raccontare chi fa il vino e come lo fa. Perché il vino è un’inclinazione naturale…

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