Il Sangiovese, in gran parte della Toscana, ma non solo, parla la lingua di Maurizio Castelli. Oltre 40 anni di esperienza, un enologo-agronomo considerato un “guru”, anche se lui non accetta il nomignolo, perché si occupa di cose terrene e non spirituali – ha commentato, per il vitigno autoctono più ricercato al mondo. Schivo, sfuggente, non ama i riflettori, un burbero buono, di toscano carattere. Sangue non mente. Non è infatti considerato tra i professionisti più affabili ma una cosa è chiara i vini che ha curato sono autentici e hanno conquistato consensi in tutto il mondo. Nato a Milano, da padre toscano, si è laureato in economia agraria con una tesi sulla analisi dei costi di produzione, un corso di studi che lo ha aiutato, come ha dichiarato lui stesso, in maniera non trascurabile nella professione di agronomo/enologo. “Immediatamente dopo la laurea – ha raccontato – mi sono trasferito in Toscana per il legame che avevo coltivato con questa terra fin da bambino . Nel 1973 fui assunto dal Consorzio del Gallo Nero come tecnico ispettore, carica ricoperta fino alla fine del 1979, anni in cui mi sono dedicato allo studio della viticoltura e della enologia. Nel 1980 ho intrapreso la libera professione che mi sta dando ancora oggi soddisfazione, lavorando assieme a un gruppo di giovani a cui sto trasferendo tutta la mia esperienza e ricevendo, in cambio, tutta la qualità della loro preparazione. Un gruppo sinergico di grande efficienza dove il cameratismo e l’amicizia prevalgono. Questo è il più bel risultato della mia carriera, i singoli episodi sono trascurabili di fronte alla qualità del lavoro globale”.
E’ considerato una sorta di Guru del Sangiovese, come vive questo ruolo?
La parola sanscrita Guru significa guida spirituale e non la trovo calzante con la materia alquanto terrena che tratto. Il Sangiovese è un frutto della terra e mi imbarazza quando mi viene attribuito questo titolo che vale la pena dedicare a valori ben più elevati di quelli rappresentati da una bevanda o cibo che fanno parte della vita di tutti i giorni.
Il Sangiovese cosa rappresenta per la Toscana in particolare? E’ anche il suo vitigno preferito?
È superfluo rimarcare l’importanza del Sangiovese nella viticoltura Toscana, io sono nato professionalmente con questo vitigno e penso di conoscerne le sfaccettature. Lo amo per la sua bizzarra mutevolezza ambientale, tipicità poco comune in altri vitigni coltivati in Toscana. Ma da tanti anni ormai mi sono dedicato a vitigni minori tipici della Regione che rischiavano di sparire, a scapito della identità, per lasciare campo a varietà modaiole che, in certe zone, stanno diventando un peso per l’immagine. In definitiva il Sangiovese come viene in Toscana, per ragioni di terreno, clima e luminosità non viene in nessuna altra parte del mondo viticolo. Con questo non voglio dire che sia migliore ma ha caratteristiche che lo rendono inconfondibile. Ho lavorato in tutto il mondo e ho avuto modo di affrontare il Sangiovese altrove: posso tranquillamente dire che non c’è nulla di paragonabile.
Lavora in molte realtà differenti, dal piccolo vigneron alle aziende più strutturate ed estese, fino ai personaggi famosi come Joe Bastianich. Senza entrare troppo nel merito, come si destreggia, come riesce a capire ed interpretare il vino per ognuno?
Se è vero che ho avuto successo è stato perché ho rispettato l’origine del vino, adattandolo alle esigenze del produttore. Almeno fino a che queste non erano antitetiche all’origine stessa. Quando mi è stato chiesto di superare il limite con artifici vari ho preferito abbandonare il progetto. Lavorare con i piccoli mi piace perché c’è un rapporto più diretto. Non lavoro con grandi aziende, se non con quelle dove il titolare è presente attivamente in tutte le fasi del processo .
Ha lavorato anche a Bolgheri con uno dei primi vini, Grattamacco, e ancora vanta collaborazioni in zona. Come la considera? Che idea si è fatto in tutti questi anni?
Bolgheri è un mondo particolare, fatto di produttori blasonati e contadini, dove nascono vini con una identità unica grazie alle condizioni del clima e del terreno, difficilmente reperibili in altre parti della Toscana. Questa unicità ha fatto sviluppare un gusto che riscuote successo ovunque, è un’oasi dove tutti vorrebbero entrare ma lo spazio è poco, anche se c’è l’erronea tendenza e voglia di allargare i confini nella vicina Bibbona. Sarebbe un errore madornale che segnerebbe la fine di Bolgheri ma non per questioni di campanile ma perché cambierebbe un gusto che si è affermato nel mondo. I terreni limitrofi, senza togliere merito, parlano una lingua qualitativa differente, non dico migliore o peggiore, ma che cambierebbe il corredo raggiunto oggi. Purtroppo prevarrebbe più l’ingordigia di pochi e consentirebbe un allargamento che non può discriminare l’intero comprensorio comunale dove i risultati sarebbero comunque non all’altezza della Doc esistente.
Il Sangiovese dove si esprime al meglio?
Come ho già avuto modo di dire mi rifiuto di dare una classificazione al Sangiovese poiché la Toscana è talmente eterogenea, nei suoli e nei climi, anche nell’ambito delle particelle della singola azienda la qualità migra dall’una all’altra. Escluso in certe zone dell’Appennino o Preappenniniche e alle valli alluvionali umide e con umidità relativa elevata il Sangiovese viene bene ovunque con caratteristiche differenti adatte ad ogni palato. Ritengo che comunque rimangono zone di elezione dove si trovano le espressioni più marcate del Sangiovese: Montalcino, Montepulciano, Gaiole in Chianti, Radda in Chianti, Panzano, Castelnuovo Berardenga, Castellina in Chianti e nella Maremma collinare…
Da enologo e uomo di grande esperienza cosa pensa dell’andamento generale del mondo del vino?
Il mondo del vino negli ultimi 40 anni è cambiato molto e sono cambiati gli attori. Siamo partiti da una cultura contadina in grave crisi, in gran parte d’Italia, povera di mezzi e di strutture, ma soprattutto povera di conoscenze. Per arrivare negli anni 70 alla terra come investimento e bene, rifugio dove convogliare i proventi di una industria in espansione con un interesse vitivinicolo forte ma senza rispettare quel poco che era rimasto del passato. I piani Feoga degli anni ‘70 hanno spianato un patrimonio genetico di cui, solo in questi ultimi 15, anni stiamo recuperando a fatica quanto rimasto. Purtroppo ci siamo mangiati un quarto di secolo. Ma la cosa più preoccupante, in questi ultimi anni, specialmente in Toscana, è la presenza sempre più massiccia di investitori non tradizionali che non hanno nessun legame con il territorio, né con la cultura dello stesso. Questi introducono spesso figure professionali da altre realtà che non hanno alcuna conoscenza dei luoghi e delle dinamiche geoclimatiche, pensando di applicare alla Toscana criteri universali e i risultati si vedono sempre più di frequente. La grande responsabilità è delle scuole che prima di insegnare chimica e biologia dovrebbero parlare di cultura del vino ricordando sempre che essendo una attività plurimillenaria, se in un contesto si è consolidato un vitigno vuol dire che questo fa parte di quel patrimonio. E non da ieri.
Cosa funziona e cosa no?
Funziona il sempre maggiore interessamento che il pubblico dei consumatori ha nei confronti del prodotto vino e la sua diffusione, grazie anche alla stampa e non solo di settore. Non funziona l’incompetenza quasi generalizzata nella gestione delle aziende, dove c’è l’illusione di facili guadagni, di poter condurre le aziende grazie ai sussidi. La viticoltura esige la presenza del titolare che deve essere coinvolto in prima persona nel processo produttivo. Spesso molti imprenditori delegano ai tecnici, che sono molto importanti ma a cui non si può chiedere di sostituirsi al proprietario.
Cosa proprio non sopporta nel mondo della comunicazione del vino?
Le menzogne che spesso vengono raccontate: alcune possono essere accettate a fin di bene ma spesso travalicano la decenza. La cosa che più infastidisce è quella di denigrare il prossimo per ottenere dei vantaggi: è molto frequente . Quello che manca nella comunicazione è lo spirito di corpo, portare tutti o la gran parte una immagine comune. E’ un male italico antico che non agevola il lavoro di nessuno.
Qual’è il vino che ha sempre considerato come simbolo, a cui si è ispirato diciamo…
Non ho un vino simbolo nella mia carriera, ho vini a cui sono affezionato perché hanno accompagnato momenti piacevoli della mia vita personale e professionale. Ricordo sempre come esempio un Gruner Vertliner appena fermentato frizzante e torbo con un piatto di canederli fatti in casa da un contadino della Valle d’Isarco, a 800 metri di altezza. In quel momento era il più buon vino del mondo. Quando si beve un vino bisogna immergersi nella realtà in cui è prodotto e se non ha difetti rilevanti bisogna apprezzarlo per quello che rappresenta in quel momento e rispettare gli sforzi del produttore.
Cosa deve e non deve fare un buon enologo?
Un buon enologo deve occuparsi della vigna, altrimenti si limiti a fare l’enotecnico. Quando il vigneto dà il massimo non occorrono tante alchimie per fare un vino, nel rispetto del soggetto più importante che è il consumatore. Molti colleghi pensano che l’enologia sia poco meno che una fissione nucleare, dove si concentrano termini per impressionare il fruitore. Le regole di un buon enologo stanno in pochi fogli di carta: ricordiamoci che dobbiamo fare un alimento che si chiama vino. Importante comunque è saper usare i propri sensi per educare l’uva e il vino a non prendere strade sbagliate. Il compito dell’enologo è quello di frequentare spesso l’azienda instaurando un rapporto di fiducia reciproca che va oltre il supporto tecnico. Diffido da chi lavora solo con strumenti telematici senza frequentare la cantina.
E’ conosciuto e apprezzato per i risultati professionali ma anche per il suo carattere un po’ restìo e che non ama il clamore …. come riesce a far convivere queste due parti?
La mia giornata di lavoro varia dalle 10 alle 14 ore, e non è un vanto, tutt’altro. Anche per questo non ho il tempo materiale di dedicarmi ad altre relazioni riguardanti il mondo del vino. Il tempo libero lo dedico ad attività lontane dal mondo del vino. Essendo le ore lavorative completamente operative non posso dedicare tempo ad ingigantire e a promuovere la mia immagine, non ne ho bisogno, ma soprattutto non mi interessa . Non dimentichiamo che nel mondo del vino toscano sono conosciuto come un “caratteraccio”.
Un enorme grazie al mio maestro professionale e di vita!
Un grazie enorme per avermi insegnato una grande cosa il rispetto del vino