Pier Paolo Chiasso è il braccio destro di Riccardo Cotarella. Una squadra di professione e di famiglia. Un sodalizio importante e fatto di scambio continuo, arricchimento, crescita che hanno perseguito negli anni. Oggi la “rivoluzione” riguarda anche l’azienda della Famiglia ed è evidente un cambio di stile che si sente prima di tutto in Montiano, il Merlot che rappresenta la passione enologica dei Cotarella. La 2017 ha manifestato una bella profondità, presentandosi come un calice lucido ed uniforme. Il carattere è evidente e abbraccia la struttura mediterranea che lo caratterizza, la stessa che viene restituita, con seduzione, sorso dopo sorso. Un Merlot d’identità che strizza l’occhio ai grandi Merlot italiani e che ha tenuto il passo in un’annata non semplice, riuscendo a raccontarsi al meglio.
In che direzione andiamo? Nella recente presentazione alla stampa è stata proposta una verticale delle ultime tre annate?
Montiano vuole continuare ad essere, sempre di più, la bandiera di Famiglia Cotarella. Per fare questo abbiamo vigneti in diverse posizioni, curiamo le uve con attenzione maniacale e ci siamo dotati di strumenti per la selezione delle stesse, in cantina, per essere sempre più precisi e non lasciare nulla al caso. La direzione è segnata, vogliamo che il vino sia vibrante, energico, ricco ma non opulento, sempre elegante con tannini soffici e mai invadenti. Deve essere rappresentativo della nostra famiglia e del nostro territorio.
In un periodo di profondo cambiamento ed incertezza su cosa si tiene più che mai la sbarra al centro?
Il periodo difficile che attraversiamo ci permette di ragionare e di pensare di più, di conseguenza sono certo che tutto quello che faremo da qui in avanti sarà privo delle cose meno importanti e si concentrerà invece su quelle più strategiche e decisive. Tenere la barra al centro significa approfittare del tempo disponibile per migliorare e migliorarci.
Cosa è voluto dire per lei crescere professionalmente accanto a Riccardo Cotarella?
Ho avuto una fortuna sfacciata, il Dottor Riccardo è un professore di fatto in ogni cosa che pensa che dice e che fa. Essergli vicino da oltre 25 anni per me è stato come frequentare contemporaneamente la migliore Università ed il miglior luogo di lavoro possibile. Teoria e pratica giorno dopo giorno, esperienze continue e sempre nuove.
Ora la società di consulenza è cointestata? Come ha vissuto questo passaggio?
La cointestazione della Società di Consulenze è un regalo che il Dottor Riccardo ha voluto fare a me e che mi rende sempre più orgoglioso della scelta fatta tanti anni fa. Rappresenta un segno di continuità, un aumento di responsabilità nei confronti di chi l’ha fondata e delle persone che ci lavorano. Per ultimo, ma non in termini di importanza, il nuovo nome è anche una finestra aperta sul futuro dei miei figli, nipoti del Dottore.
Com’è lavorare con il suocero?
Significa appassionarsi alle persone, ai territori, alle vigne ed ai vini che ne derivano. Tutto viene fatto con trasporto, mai con freddezza, prima si deve conoscere a fondo il produttore, poi la sua terra, la sua vigna: si interpretano i progetti e solo dopo si provano a realizzare i vini. Serve dedizione e disponibilità totale, una delle cose che mi ha sempre insegnato è di essere pronto a rispondere alle richieste ed alle necessità di tutti per 24 ore al giorno. Potrei essere banale ma sono veramente poche le cose sulle quali non siamo d’accordo e la mia sensazione è che nelle rare volte in cui vedo che ha delle perplessità mi dice comunque di andare avanti secondo la mia sensibilità.

Voi seguite tantissime aziende. Qual’è la percezione generale in questo momento? Le aziende sono in difficoltà come è normale in un periodo come quello che viviamo. Un elemento che però contraddistingue il nostro settore è quello di cercare di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno. Se ci si riflette un po’, chi vive di prodotti della campagna è abituato a fenomeni che possono mettere in discussione i raccolti e quindi compromettere intere annate, forse questo aiuta un po’ tutti ad essere ottimisti.
Cosa si è perso in questo periodo pandemico e cosa invece si è ritrovato nel mondo del vino in genere?
Il vino è contatto, allegria, serenità, non poter essere vicino alle persone è fortemente limitante. Lo è tanto nei momenti in cui si dovrebbe consumare il vino sulle tavole dei ristoranti, lo è anche nelle fasi di preparazione dei nuovi vini, dove il contatto con i produttori è troppo spesso lasciato alle sole videochiamate. In sostanza manca il solito meraviglioso coinvolgimento che il vino riesce a dare.
Cosa servirà subito per ripartire dopo questo periodo buio, che ci auguriamo volga al termine? Credo sia necessario guardare avanti con ottimismo e dinamicità, correre a mille, sfruttare la voglia che tutti noi avremo di vivere, di fare le cose di sempre. Dovremo essere pronti ad aumentare e migliorare il nostro lavoro in termini di tempo e di qualità. Ci sarà una competizione spietata per riprenderci le posizioni perse.
Qual’è secondo lei il punto che un bravo enologo non deve mai perdere di vista?Un bravo enologo deve avere passione per quello che fa, interpretare i desideri dei produttori, seguire il suo istinto e la sua sensibilità, essere pronto a modificare le sue convinzioni per ottenere il massimo risultato. Non esistono formule esistono una serie di concomitanze, legate al clima, al terreno che bisogna gestire per rendere ogni vino la migliore interpretazione della sua annata.