LA FALANGHINA DEL SANNIO: I MUSTILLI

La Falanghina potrebbe avere come secondo nome Mustilli. Una famiglia che si classifica come pioniere della viticoltura del Sannio. Leonardo Mustilli, venuto a mancare lo scorso ottobre, imbottigliò la prima Falanghina in purezza. Era il 1979. Oggi a guidare l’azienda è la figlia Paola con la sorella Annachiara in un luogo che è quasi un santuario, in fatto di vino e di autoctonie, un luogo da visitare. La vecchia cantina ancora meta di visite e degustazioni è scavata nel tufo per ben 16 metri proprio sotto le strade del borgo di Sant’Agata dei Goti, alle porte di Caserta.

Una storia lontanissima. Originari di Ravello, i primi Mustilli si stabilirono a Sant’Agata nel 1300 dove cominciarono la produzione di vini per il consumo locale. Nel corso dei secoli si trasferirono a Napoli e i terreni di proprietà vennero condotti da mezzadri ed affittuari.

Le sorelle Mustilli, da sinistra Annachiara e Paola

“Nostro padre Leonardo – spiega Paola –  già da studente di Ingegneria, si appassionò alla realtà agricola e decise, in assoluta controtendenza rispetto all’orientamento dell’epoca, non solo di andare a vivere in campagna, ma di diventare agricoltore. Era  il periodo delle emigrazioni, dalle campagne del Sud Italia, verso le nuove e allettanti realtà industriali. Ci fu bisogno di intervenire, specie nei vigneti, dove il sesto d’impianto non consentiva l’introduzione di alcuna delle macchine allora esistenti. Reimpiantò le vecchie vigne con le varietà locali quali Greco, Aglianico e Piedirosso. Compiendo una sorta di rivoluzione che oggi gli è ampiamente riconosciuta”.

“Utilizzò  le antiche cantine sotterranee – continua – , profonde 16 metri, sotto il palazzo di famiglia nel centro storico di S.Agata per vinificare ed imbottigliare, nel 1976, le prime produzioni di Greco, Piedirosso ed Aglianico”.

Un momento delicato, come in altre parti d’Italia. Nella Provincia di Benevento ed in Campania in generale, si andava sviluppando, da più parti, la tendenza a favorire l’introduzione dei vitigni internazionali, per lo più di provenienza francese, a svantaggio delle vecchie varietà autoctone. E si tendeva a produrre grandi quantitativi ma meno qualità.

“Erano infatti gli anni della nascita delle prime Cantine Sociali, ma soprattutto erano gli anni di grosso sviluppo dei consumi di vino che si vendeva comunque a prezzi modesti. Si puntava sulle grosse produzioni unitarie, arrivando ad impiantare vigneti nei fertili terreni di pianura irrigui”.

E poi ci fu la svolta?

L’ingegnere Leonardo Mustilli

La storia di mio padre Leonardo e della Falanghina iniziò nel 1976, quando, insieme ad un gruppo di volontari e con il sostegno finanziario della Camera di Commercio, avviarono il monitoraggio delle aree vitate della Provincia di Benevento al fine di raccogliere le antiche varietà locali. Il risultato, sorprendente, portò alla luce 18 diverse uve autoctone che furono micro vinificate e degustate. Tra di esse c’era la Falanghina, che emerse per le particolari caratteristiche organolettiche.

Sopravviveva nei vigneti dei contadini sanniti e flegrei confusa con altre varietà. Addirittura costoro avevano difficoltà a collocarla sul mercato, anche a prezzi decisamente inferiori alle altre uve. Al tempo non c’era nessuna cantina che vinificasse ed imbottigliasse in purezza questo vino. Nel 1979 dalla nostra azienda uscì la prima produzione di 3.000 bottiglie vinificate in purezza.

Com’è cambiata la Campania del vino da quel momento?

Per fare dei numeri siamo passati, in 40 anni, da una produzione di 3.000 bottiglie, su una superficie di circa 30 Ha., a 9 milioni di bottiglie (di cui 6,5 milioni prodotti in provincia di Benevento) di Falanghina Doc su circa 3.000 Ha.

Cosa vi ha insegnato vostro padre?

Proprio la  valorizzare delle varietà autoctone, la vinificazione in purezza. Si è trattato di una scelta molto difficile da perseguire negli anni ’80. Quando abbiamo mosso i primi passi nel mondo del vino, nessuno conosceva i vitigni campani, non c’era interesse, non avevano valore.

Una lunga battaglia in una terra dimenticata…

Le Guide dei vini dettavano le mode, si ricercava il gusto dei vitigni internazionali, la Campania non era riconosciuta come una regione a vocazione vitivinicola ma solo come un bacino di produzione di vini da taglio, di basso prezzo. Lo stesso territorio Sannita non aveva una sua collocazione, era sconosciuto ai più e questo non favoriva la crescita del comparto.

Oggi però c’è stata quasi un’inversione di tendenza, a favore delle autoctonie…

Nel corso degli anni c’è stata una graduale trasformazione nel mondo dei produttori di vino, nuovi enologi hanno iniziato a considerare fondamentale la caratterizzazione dei territori vitivinicoli e la sperimentazione delle varietà autoctone per la produzione di vini di qualità. Nuove figure di imprenditori hanno iniziato a trovare interessante il mondo del vino e ad investire in esso. Le Associazioni Sommelier, Slow Food ed altre, hanno focalizzato l’attenzione anch’esse sui territori, stanchi della massificazione ed omologazione ai vini internazionali. E’ esploso in tutta Italia un processo di crescita di tante realtà vitivinicole, espressione di territori diversi.

Come vi siete sviluppati?

Nel 1990 abbiamo affiancato alla produzione di vini l’attività di accoglienza utilizzando i nostri due palazzi di famiglia dove offriamo una ristorazione di territorio curata direttamente da nostra madre e dove è anche possibile soggiornare.

Nel 2002 abbiamo trasferito la produzione dei vini in una struttura moderna, dove abbiamo potuto acquisire una tecnologia più efficiente e le antiche cantine sono divenute luogo di visite guidate e degustazioni. Oggi siamo felici di aver creduto nella impostazione scelta da nostro padre, centrata sulla valorizzazione dei vitigni autoctoni. Abbiamo perseverato nonostante le difficoltà di mercato, abbiamo creduto in un sogno che si è realizzato. Il Sannio è cresciuto in qualità e quantità di realtà vitivinicole interessanti e questi fattori, uniti alle attività di promozione e valorizzazione operate dal Consorzio di Tutela, stanno contribuendo ad una crescita ed una maggiore visibilità di tutto il comparto vitivinicolo della nostra provincia. Certamente c’è ancora molto da lavorare, ma la sinergia che si è creata in questi anni tra i produttori sanniti è un punto di forza essenziale. Per poter affrontare il mercato mondiale bisogna combattere l’omologazione, affermare il territorio, creare valore intorno alle tradizioni locali, esaltare le differenze. Di momenti difficili ne abbiamo avuti tanti, ma il cambio generazionale è stato quello che ha forgiato di più il mio carattere.

Ancora quote rosa nel vino, lei è affiancata da sua sorella? Una bella eredità familiare…

Sono entrata in azienda nel 1990, dopo una laurea in Scienze Agrarie ed un periodo di lavoro a Roma presso diverse associazioni agricole, spinta dal forte richiamo alle mie radici.

Mia sorella Anna Chiara, anch’essa laureata in Scienze Agrarie ed un percorso di lavoro in biotecnologie per 10 anni, mi ha affiancato nel 2002, occupandosi interamente della produzione sia in vigna che in cantina.

Vigna Falanghina

Ci sarà pur stato uno scontro generazionale?

Il forte attaccamento di mio padre all’azienda, da lui create, e quindi una sua emanazione, rendeva ogni tentativo di apportare cambiamenti e innovazioni oggetto di scontri e lunghe battaglie. Grazie a questi confronti però ho imparato la lezione più importante della mia vita, quella di non mollare mai!

Il nostro stile produttivo è stato costante nel tempo, non abbiamo mai inseguito le mode del momento e penso che oggi il mercato ci abbia dato ragione.

I VINI

Quattro etichette classiche: Falanghina del Sannio, Greco, Piedirosso, Aglianico. Tre Selezioni: Vigna Segreta, Falanghina affinata 9 mesi sui lieviti, Artus, Piedirosso fermentato ed affinato in contenitori di ceramica per 9 mesi, Cesco di Nece, Aglianico maturato in legno per 1 anno e mezzo.

TASTING

Falanghina 2016 classica Bel naso, aromaticità intrigante, biancospino, gelsomino, oliva verde sul finale. Acidità e freschezza. Salino.

Falanghina Cru Vigna Segreta (50 anni) 2015 colore più intenso come l’aromaticità più decisa. Sentori più maturi, persistente.

VILLA RAIANO. VERSO UN NUOVO CRU DI FIANO

In primo piano Federico, Fabrizio e Brunella

Villa Raiano è nata nel 1996, nei locali del vecchio oleificio di famiglia nella frazione Raiano del paese di San Michele di Serino, in provincia di Avellino. La produzione si è subito orientata sui vitigni autoctoni della provincia: Fiano, Greco e Aglianico. A guidarla Sabino e Simone Basso con i figli, Brunella appena ventitreenne e Federico e Fabrizio (nella foto sopra).

“Dopo i primi 10 anni, durante i quali abbiamo cercato di trovare una strada stilistica ben definita – spiega Brunella – c’è stata la prima svolta: la costruzione della cantina (circa 4000 mq2) dove abbiamo trasferito tutta la produzione nel 2009. In quello stesso abbiamo introdotto la linea “Le vigne”- (due Fiano di Avellino docg, Alimata e Ventidue, e un Greco di Tufo docg, Contrada Marotta) veri e propri cru, circa 3000 bottiglie all’anno per ognuno.

Barricaia

Come siete arrivati a questa scelta?

Con la consapevolezza delle enormi differenze che si possono trovare all’interno degli areali di produzione delle nostre docg Fiano di Avellino e Greco di Tufo. Stesse uve coltivate in vigne diverse e vinificate alla stessa maniera danno come risultati dei vini totalmente differenti. Soprattutto il Fiano è un’uva che legge perfettamente il territorio dove viene coltivato e ne rende una sua personale versione. Fa tutto da solo. Nel 2017 la seconda generazione, (di cui io faccio parte insieme ai miei cugini Federico e Fabrizio), è entrata in azienda e insieme alla vecchia guardia (mio zio Sabino e mio padre Simone), e lavoriamo per crescere. Dalla nostra tanto entusiasmo e anche impulsività che mediamo con l’esperienza dei nostri genitori. Sono sempre presenti, ma mai invadenti e ci permettono di sbagliare senza giudicarci.

Come lavorate?

Sono 28 gli ettari di vigna che conduciamo con metodi biologici. Cerchiamo di ridurre al minimo i trattamenti attraverso l’utilizzo della pratica del sovescio in vigna. I vini bianchi sono interamente prodotti in acciaio mentre i vini rossi vengono affinati sia in legno (barrique e botti di rovere di Slavonia da 20 e 30 ettolitri) che in Clayver e anfore in terracotta.

I punti di forza della Campania…
E’ una Regione che racchiude al suo interno tanta diversità: un vulcano, coste frastagliate e spiagge grandi, colline e alte montagne. Tutta questa varietà si traduce in biodiversità. E’ così stupefacente, ogni provincia ha il suo microclima, suolo e queste specificità regalano una formazione di vini completa. Da Villa Raiano non si vedono solo vigneti, ma tanti alberi di nocciole e castagni. Fare viticoltura in Campania non è facile. I vigneti sono piccoli e frammentati e la vendemmia è sempre manuale non potendo ricorrere alla meccanizzazione.

Locali di vinificazione

Essendo un team molto giovane avrete sicuramente molti progetti futuri?

La nostra azienda è in continuo cambiamento. L’obiettivo, da qui a cinque anni, è aumentare la produzione, mantenendo alta la qualità e tenendo fede al principio della micro vinificazione delle singole vigne, che ormai ci contraddistingue. Nel 2019 introdurremo anche un nuovo Cru di Fiano, ottenuto dalle uve del vigneto che domina la nostra cantina. Architettonicamente parlando, l’obiettivo è l’innovazione. Abbiamo progettato una nuova area dedicata all’affinamento del Taurasi e del nostro spumante metodo classico. Siamo molto curiosi e abbiamo tanta voglia di imparare e conoscere.

Il momento più difficile e quello di maggiore soddisfazione.

Gennaio 2017, l’arrivo in azienda. Io e i miei cugini abbiamo scelto di tornare nello stesso momento. All’inizio eravamo molto legati agli schemi degli studi universitari e confrontandoli con la pratica non è stato facile.  Stiamo imparando ad essere costanti e pazienti e a capire che l’idea del tutto e subito non esiste. Il momento di maggiore soddisfazione è stato il primo Vinitaly,  la prima occasione in cui la nuova formazione si è presentata al pubblico e i riscontri sono stati molto positivi. L’energia positiva che si percepiva nel nostro stand ha sicuramente contagiato visitatori e clienti.

Nuove tendenze gusto ma anche di promozione e comunicazione del settore, come vi collocate?

Stiamo studiando. Frequentiamo corsi di degustazione per capire che vini vengono prodotti nel mondo,  ma si tratta di un percorso  lunghissimo e per quanto riguarda la comunicazione, ogni giorno impariamo qualcosa di nuovo. Speriamo di sviluppare una impronta del tutto personale tra qualche anno.

Il credo aziendale. Quali le vostre principali scelte stilistiche? La nostra base culturale è la famiglia e la fiducia nel futuro. Per le scelte stilistiche ci piace molto come è stata impostata la produzione di Villa Raiano e continueremo puntando sui nostri vitigni autoctoni e sulle differenze che il nostro territorio ci impone.

Quale percezione pensate di avere sul mercato e quali sono le vostre aspettative?

Crediamo di essere visti come un’azienda capace di produrre vini di alta qualità che però non si adagia, è in fermento. E questo ci piace molto.

Crescita e sviluppo negli ultimi dieci anni, compreso gli investimenti effettuati.

Negli ultimi 10 anni l’investimento più grande è stato sicuramente la nuova cantina, inaugurata nel 2009. In ottica di ricerca e sperimentazione, nel 2012 abbiamo acquistato i primi Clayver (contenitori di ceramica che usiamo per l’affinamento del nostro Campi Taurasini doc) e quest’anno abbiamo aggiunto 10 anfore in terracotta. Stiamo cercando nuove strade, soprattutto per l’affinamento dell’Aglianico. Sicuramente molto è stato investito anche per il nostro spumante metodo classico, da uve Fiano e Greco, infatti a giugno abbiamo acquistato il macchinario per la sboccatura e ora possiamo affermare di curare l’intero processo produttivo. Tutti queste novità partono spesso dalla voglia di cercare nuove strade interpretative del nostro consulente enologo Sebastiano Fortunato con il quale lavoriamo, con grande affiatamento, da circa dieci anni e che ha anche la responsabilità agronomica dell’azienda.

Cosa conta davvero oggi nel mondo del vino e cosa riesce a fare la differenza ?

L’unicità dei vini prodotti.

TASTING

Ventidue, Fiano di Avellino 2015 Dotato di un’acidità importante, con impatto aromatico imponente. Entra duro e si addolcisce, vivace. Di grande carattere. Lungo

Alimata, Fiano di Avellino 2015 Più docile, armonico, preciso. Come se svanisse in bocca ma poi ritorna.

Contrada Marotta, Greco di Tufo 2015 Un vino corposo, massiccio. Manifesta una grande forza in bocca, conquista. Racconta la terra da cui proviene con orgoglio e senza sconti.

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Toscana pura, giornalista nel Dna, ho una laurea in lettere moderne conseguita all’università di Firenze. Non ricordo bene quando ho iniziato a scrivere, ma ero parecchio bassa. I colori e i profumi della natura mi hanno sempre ispirato, la mia valigia è piena di parole… e mi concedo spesso licenze poetiche… Poi è arrivato il vino, da passione a professione. A braccetto con la predisposizione e pratica attiva per i viaggi e la cucina internazionale e ancor più italiana… assaggiare ed assaggiare… sempre. E’ giunto il momento di scriverne, con uno spirito critico attento. Da sommelier ho affinato certe tecniche di degustazione ma quello che conta nel vino,come nella vita, è l’anima. Basta scoprirla. E’ bello raccontare chi fa il vino e come lo fa. Perché il vino è un’inclinazione naturale…

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