Quando un amico mi ha proposto questo vino dopo una serata piuttosto impegnativa di assaggi con tanti big della viticoltura italiana, ho detto, perché no. E quella bottiglia ci stava benissimo. Ottima beva, leggerezza, suadenza. E poi quell’etichetta così originale e sincera che subito mi ha appassionato ed incuriosito. Davanti a me c’era la Teresa La Grande di Cascina Tavijn, da uve Ruché. Che dire un vino che dà felicità.
Dopo poco mi sono messa alla ricerca di Nadia Verrua, c’ho messo un po’ di tempo ma alla fine sono riuscita a fare un’intervista. Non consueta, non docile, un po’ bandita. Come i suoi vini che nascono da una passione grande per il terroir e la sua espressione più vera e dalla volontà pura e senza condizionamenti di sorta, di spremere le uve e fare vino. Così, semplicemente.
La tradizione familiare non le manca. E’ alla quarta generazione di produttori a Scurzolengo, in provincia di Asti. Ai genitori ha dedicato anche il nome di due bottiglie della sua produzione: Teresa, il Ruché e Ottavio, il Grignolino. Ma la rottura vera e propria è stata con la Bandita, la sua Barbera, selezione 2011, rifiutata dalla commissione delle denominazioni di origine. Da lì lo scacco e l’orgoglio ma soprattutto la convinzione di voler continuare a produrre, prima di tutto, un vino che piace non solo a chi lo fa ma soprattutto a chi lo compra. Perché non c’è un confine netto al vino, o almeno a quello che piace fare a Nadia. Il convenzionale non è proprio nelle sue corde. Se il vino è buono e sincero ritratto dell’annata è giusto che resti così. Vini fedeli all’identita’, la sua. E in questo rivoluzionari, se serve.
L’azienda familiare (certificata biologica Icea ddal 2007) produce vini dal 1908, vitigni autoctoni: Grignolino, Barbera e il raro Ruché. Sette gli ettari vitati per circa 25.000 bottiglie l’anno e 3,5 ettari dedicati alla produzione di nocciole.
“Ho iniziato a lavorare con i miei genitori intorno ai 23 anni – racconta. Non sapevo fare nulla. Seconda di tre figlie femmine, i miei avevano immaginato per me un futuro diverso. Per questo ho studiato arti grafiche ma la mia passione restano la vigna e il vino. Rappresento la quarta generazione di una piccola realtà agricola e questo lavoro ha dato un senso alla mia vita”.
Avrà una filosofia? In realtà spero sempre ci sia più concretezza che filosofia.
Chi è Nadia Verrua e cosa raccontano le sue bottiglie? Un percorso originale, è innegabile, che si traduce anche nell’estetica delle etichette delle bottiglie?
Questa è una domanda difficile! E’ il mio modo di vivere questo lavoro, mi piace sperimentare, cambiare punti vista. Le etichette sono merito di Gianluca Cannizzo. Ottavio (Grignolino) e Teresa (Ruché) sono le due etichette dedicate ai miei genitori. Sono ancora due vignaioli attivi e appassionati, mi piaceva l’idea che godessero di un’etichetta tributo. Bandita (Barbera) è invece il primo vino rifiutato dall’ente che certifica le denominazioni. Ogni etichetta ha un po’ la sua storia.
Oggi si fa un gran parlare di biologico, biodinamico, vino naturale. Lei come si inserisce?
L’argomento è piuttosto complesso. Riassumendo direi che la mia condotta ideale è: biologico in vigna e naturale in cantina.
Cosa ne pensa del mondo del vino italiano, in fatto di produzioni, commercializzazione e comunicazione?
Sono fiera della nostra storia vitivinicola. Stiamo facendo tutti, anche se in modo diverso, un buon lavoro.
Chi è e cosa rappresenta oggi una donna che produce vino?
Incontro donne che producono vino, preparate e determinate. Credo, anzi, sono certa che negli anni siamo riuscite a dare nuovi input al settore.
Presente e futuro.
Non so rispondere. Spero in questo presente ci sia più consapevolezza da parte di tutti noi agricoltori di quanto sia necessario rispettare la nostra terra. Inoltre come viticoltori abbiamo la fortuna di rappresentare un élite nel mondo dell’agricoltura, visto che riusciamo ad avere un reddito più alto. Però non dobbiamo dimenticarci di parlare del nostro mondo, di muoverci come apripista. Il futuro dipenderà dalle scelte che facciamo oggi. Io cerco di fare del mio meglio, nel mio piccolo e per i miei figli.
Il vino che ama bere? Vino da uve senza uso di nessun additivo. Mi incuriosisce sempre.
Quello che vorrebbe fare … Lo sto già facendo.
Il sogno nel cassetto?
Un’azienda vitivinicola di 10 ha con etichette sui Cru, assieme all’orto e agli animali. Un’azienda a circuito chiuso.