Lui è Beppe Caviola, l’Enologo. Piemontese doc, la sua azienda Ca’ Viola muove i primi passi a Montelupo Albese, il paese di origine, in Langa, negli anni Ottanta. La cantina nascerà a Dogliani, la prima etichetta è del 1991. Mentre attende inizia a fare vino nel garage di famiglia.

Nel frattempo la sua attività di consulenza prende il volo, è uno degli enologi più ricercati ed apprezzati in Italia. Da nord a sud. Lui ha del carattere piemontese la riservatezza e l’essenzialità. Il vino parla e questo basta. No alle mode, in giusta misura conservatore e progressista. Ma assolutamente dice no alle “esasperazioni dei vini naturali”. Come le definisce lui stesso.

Dal 2014 è arrivato a Petra in Toscana, tra le colline metallifere che si affacciano sul mare dell’entroterra di Suvereto dove si trova l’azienda del gruppo Terra Moretti condotta con determinazione da Francesca, figlia di Vittorio. Ed è partita una sorta di rivoluzione che si rivela con estrema lucidità in Petra 2016, il vino di punta. Mentre nei giorni scorsi è stato presentato il vintage 2017 che all’olfatto ha affondato subito in carattere varietale. Fresco, fragrante con una bella acidità e una chiusura sapida. Il tannino è integrato e sono vibranti le note balsamiche e mentolate che accompagnano tutto il sorso.

La 2017 ha una freschezza inaspettata. Un sorso di slancio, non era facile?

L’annata 2017 non è stata un’annata facile, ma neanche così calda come sostengono molti. Io la definirei un’annata siccitosa con inverno e primavera miti, uno sviluppo della vite anticipato e rallentato da un brusco e inaspettato abbassamento di temperatura registrato alla fine del mese di aprile. Dal mese di maggio è iniziato un lungo periodo di bel tempo dove le temperature massime registrate durante i mesi estivi sono state sopra la media, ma a differenza di altre annate calde (ad esempio la 2015) abbiamo avuto notti fresche. Gli eventi piovosi anche se scarsi e frammentati sono stati sufficienti per riequilibrare in parte la dotazione idrica della pianta di vite scongiurando problemi di marcato stress idrico. Ho voluto ricordare l’andamento climatico di questo millesimo per spiegare quanto è stato fatto in vigneto e poi in cantina per ottenere un vino, che rispetto all’annata, risulta fragrante e fresco.

Dove è intervenuto maggiormente nel cambiamento di stile e quanto ha inciso il clima?

Sul vigneto per ottenere l’equilibrio vegeto-produttivo è necessaria una meticolosa gestione della chioma, combinata ad un attento ma non eccessivo diradamento volto a bilanciare la produzione. Il diradamento, non è quello severo degli anni ‘90, poiché complice il cambiamento climatico, il riscaldamento globale anticiperebbe troppo la maturazione tecnologica rispetto alla maturazione fenolica. Si regola la produzione, eliminando gli affastellamenti (i grappoli ammassati) ad inizio invaiatura, poi si interviene una seconda volta, a invaiatura quasi finita con un lavoro di rifinitura (tenendo conto dell’andamento climatico) che consiste nell’eliminare eventuali grappoli invaiati male (contenenti parecchi acini verdi) oppure nel modellare il grappolo, asportando le ali e la punta così da ridurre il peso del grappolo sena eliminarlo e rispettando l’equilibrio vegeto-produttivo sopra citato. Sulla defogliazione poi si è adattata al cambiamento del clima e  anche all’evoluzione del gusto. Anni fa si defogliava in zona grappolo per esporlo alla luce diretta del sole e favorire la maturazione ideale. Oggi si cerca di proteggere i grappoli dalla luce del sole evitando di esportare le foglie e si eliminano solo le femminelle (germogli derivanti dalle gemme pronte che si sviluppano all’ascelle delle foglie). A Petra nel 2017, in accordo con gli agronomi, siamo intervenuti con una defogliazione tardiva circoscritta alla zona medio-alta della chioma in post-invaiatura con l’obiettivo di asportare foglie fotosinteticamente efficienti (stress fotosintetico) in modo da evitare l’eccessivo accumulo di zuccheri. Facendo coincidere la maturazione tecnologica con la maturazione fenolica e preservando maggiore acidità (tradotto: vini più equilibrati). La cimatura è stata tardiva. Siamo sulle colline della Val di Cornia e il suolo è particolarmente vocato alla coltivazione della vite (dai tempi degli Etruschi) ricco di manganese e altri metalli, caratterizzato da argille simili a quelle del Pomerol francese, argille che possono trattenere circa il 50% di acqua rispetto ad un terreno sabbioso, ciottoloso e povero. Ovviamente ogni ambiente viticolo ha le sue peculiarità e a Petra il clima caldo/mediterraneo ci ha spinto ad introdurre l’inerbimento a file alterne, scegliendo essenze adatte con ridotto sviluppo vegetativo in grado di andare in stasi vegetativa nel periodo più caldo, annullando la competizione idrica con la pianta di vita. Ricordo che l’erba spontanea può assorbire da un terzo a metà dell’acqua assorbita dalla vite.

Si può dire che è partita una vera e propria nuova era con lei a Petra? 

Spero di sì ma non vorrei peccare di presunzione. La nuova era di Petra nasce da una convinta condivisione stilistica tra la proprietà e il sottoscritto. Chi assaggia il 2014 (la nostra prima vendemmia) percepisce un cambio di passo ma soprattutto con la 2016 e la 2017 i risultati sono diventati più percepibili. Petra oggi è un vino di struttura e concentrazione ma anche di grande eleganza, con alcol controllato e maggiore fragranza, croccantezza ed acidità. Il risultato si è ottenuto con una macerazione pre-fermentativa a freddo di circa 3-4 giorni, poi una fermentazione alcolica a temperatura controllata che non supera i 24°C (per preservare gli aromi). Il metodo di estrazione (durante la macerazione) è un metodo “infusivo” cioè un metodo molto delicato, soffice, finalizzato ad estrarre solo i composti nobili dell’acino evitando sovra estrazioni che renderebbero il vino più pesante ed opulento. In sintesi un metodo o meglio uno stile raffinato, più attinente al terroir di origine.

Cosa vede nel futuro di Petra e della zona in generale?

Auguro a Petra e a tutta la zona (Suvereto, Val di Cornia) un futuro costellato di grandi e meritati successi di critica e mercato. Sono sempre più convinto che i vini prodotti si meritino paragoni con altri per essere nobilitati, perché sono vini di spiccato carattere mediterraneo che mettono in luce le peculiarità uniche di questa suggestiva e affascinate parte di Maremma.

Lei è un grandissimo enologo, la fama la precede, da piemontese come si trova a lavorare con i bordolesi toscani? 

E’ sempre un piacere ricevere apprezzamenti per il proprio operato, soprattutto quando arrivano da persone stimate. Con i bordolesi toscani mi trovo a mio agio, lavoro in Toscana da ormai più di 15 anni e per arrivare a certi risultati ho studiato, viaggiato, sono stato più volte a Bordeaux al fine di capire il territorio e i vini che lo raccontano, fonte, per me di ispirazione. Penso di possedere una discreta sensibilità, visione e giusta dose di umiltà utili per un prezioso e stimolante percorso di crescita.

In cosa si somigliano la Toscana e il Piemonte e in cosa invece differiscono completamente?

Sono senza alcun dubbio le due più importanti regioni di produzione d’eccellenza italiana, soprattutto per quanto concerne i grandi vini rossi. Ogni anno infatti la critica del vino premia con riconoscimenti importanti l’una e l’altra regione. Si tratta però di due realtà ben distinte a partire dai due grandi e straordinari vitigni che le rappresentano. In Piemonte o meglio nelle Langhe il vitigno principe è il Nebbiolo, vinificato in purezza, in Toscana il Sangiovese, vinificato in purezza a Montalcino e altrove in blend con vitigni internazionali. In Piemonte le realtà vitivinicole, mediamente di piccole dimensioni, spesso a conduzione famigliare, possiedono storicamente proprietà frazionate in piccole parcelle. Qui l’enologia francese (Odart enologo francese, inventore del Barolo moderno…) per motivi geopolitici, ha fatto scuola, trasmettendo i concetti di Cru-MGA ai quali il viticoltore piemontese è legato in modo profondo e intimo verosimilmente come accade in Borgogna dove il vigneto prevale su tutto e di conseguenza le cantine passano in secondo piano. In Toscana, invece, i grandi vini provengono da zone più vaste, i proprietari, famiglie nobili, importanti imprenditori provenienti da svariati settori e vitivinicoltori possiedono numerosi ettari con cantine prestigiose, spesso progettate da famosi architetti, situazione che ricorda Bordeaux.

Lei gira molto. Cosa ha cambiato questa pandemia nel modo di percepire e vivere il vino?

Il vino che è senza alcun dubbio il simbolo della convivialità, sinonimo di aggregazione, relazione e socializzazione ha accusato in modo evidente il 1° e 2° lockdown. La situazione è in lenta ripresa con una propensione agli acquisti in GDO e online, cresciuti in modo esponenziale. Alla luce di questo cambiamento penso che i produttori dovranno riflettere e pianificare nuove strategie di mercato con la consapevolezza che questa pandemia ha cambiato le nostre abitudini e probabilmente faticheremo a tornare indietro.

Su cosa bisogna puntare per il futuro?

Il vino come altri fenomeni sociali di massa è sempre espressione del suo tempo, del gusto che evolve con il passare degli anni, consapevoli del fatto che è una bevanda viva perché l’ortodossia non è di casa in cantina. In futuro bisognerà, dunque, puntare sempre più a fare vini espressione del terroir da cui hanno origine, in equilibrio tra successo commerciale e voglia di raccontare storia e tradizione

Il suo ideale di vino?

Il mio ideale di vino è quello che interpreta fedelmente lo stile del produttore senza omologare il prodotto attraverso il mio personale stile. Un vino deve essere sempre riconoscibile, ottenuto con il minimo impiego di prodotti chimici e artifizi di cantina, pensato con un’ispirazione naturale e sostenibile (senza le esasperazioni dei vini naturali).

 

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