Una bella realtà, duecento anni di storia come produttori di vino, in una delle zone tra le più vocate e fresche d’Italia, l’Alto Adige. Il nome Alois Lageder è conosciuto ai più ma oggi Clemens, a soli 31 anni, sta galoppando a ritmi sostenuti verso una viticoltura di differenziazione e attenzione alle piccole autoctonie e anche qualcosa in più. L’ultimo progetto sono Le Comete, sette per la precisione. Che si riassumono in bottiglie di studio, a tratti esaltanti in fatto di potenzialità e sperimentazione. Una ricerca continua e coraggiosa di cui nell’incontro che si è svolto alla Trattoria Moderna di Firenze, ha reso partecipi anche giornalisti e clienti.

Senza nascondersi, una sorta di laboratorio, interessante e alternativo, che rende sempre più popolare, elevando lo spirito di condivisone, un progetto vitivinicolo già affermato ma mai da dare per scontato. Clemens ne è l’esempio concreto. Non ha ereditato l’azienda di famiglia passivamente ma ha studiato, ha fatto esperienza, si è creato una sua strada e una voglia di evoluzione. Di crescita.
Il cammino delle Comete è iniziato negli anni Ottanta, quando Alois Lageder iniziò a coltivare vitigni diversi, provenienti da vari contesti geologici e microclimatici, per valutare come avrebbero risposto sia a un habitat differente sia al cambiamento climatico. Ecco quindi vitigni che provengono dal sud della Francia, abituati a temperature più miti – come il Tannat, proposto per la prima volta in purezza nel 2014, Casòn Rosso che ha fatto il suo debutto nel 2017 – o uve provenienti dalla Loira, note per la spiccata acidità, fattore che potrebbe risultare utile e interessante per i vini altoatesini dei prossimi anni. Infine, tra le nuove Comete si ripresentano quei vitigni della tradizione enoica dimenticati, portavoce del proprio territorio d’origine, che forse torneranno alla ribalta. La coltivazione è biodinamica dal 2004, almeno con esclusività nei 50 ettari di proprietà di famiglia, la maggior parte a Magrè, a sud di Bolzano. E ancora altri 50 dei produttori con cui l’azienda collabora si sono convertiti bio. Nei 150 ettari totali gli altri 50 ancora restano ancorati ad agricoltura tradizionale.
La degustazione si è svolta a capitoli. Ognuno degno di approfondimento.
Geologia e clima Al centro della discussione l’ineludibile cambiamento climatico che ha portato anche a cambiare le varietà coltivate. “Trent’anni fa – ha detto Clemens – vi erano quasi esclusivamente vigne di Schiava e Lagrein. Oggi anche sul riesling abbiamo la fortuna di giocare con le altitudini. L’acidità che riscontriamo nel Pinot cala molto rapidamente rispetto a prima. E su queste nuove misure, dettate dall’inesorabile cambiamento climatico, abbiamo dovuto adattarci e studiare”.
Sul tavolo l’annata 2017 di Muller Thurgau diviso nella zona di Bassa Atesina con clima mediterraneo e terreno dolomitico che risulta più immediato, profumato e di pronta beva. Anche se più “consueto” e caldo. Il secondo proveniente dalla Valle d’Isarco, zona più vocata, con clima alpino e terreno vulcanico. Il vino è dotato di una sapidità eclatante, roccioso, più complesso, che punta dritto verso l’eleganza.
L’uomo Quanto influisce? Sul tavolo tre esemplari 2017 (componenti) di Pinot Grigio Porer. Il primo, con vinificazione classica, si presenta leggiadro, poco invadente, scivoloso e caldo. Il secondo ha seguito invece una macerazione breve (di 12 ore sulle bucce) e ha mostrato una voltatile molto alta ed un naso fruttato diviso tra pesca e mela. Il terzo, in vinificazione con grappolo intero con raspi (questi ultimi per 7 mesi), ha condotto ad un risultato molto intrigante e d’interesse. Tanto che l’esperimento, alla fine, è stato quello di miscelare i tre campioni, con percentuali indicate da Clemens, 70% del primo, 20% del secondo e 10% dell’ultimo, per ottenere un vino in perfetta armonia e molto piacevole. Il risultato è infatti il loro Porer, noi abbiamo assaggiato la 2016, già pronta e molto armonica.
Vitigni tradizionali e nuovi Assaggio di Comete. Bla. XVI (uva blatterle). Un vino deciso e palpitante. Il Forra bianco 2016 da incrocio Manzoni (Riesling e Pinot Bianco) è il vino che mi ha entusiasmato di più in assoluto. Completo, robusto e di carattere, con apertura aromatica e freschezza. Natsch.XVI (Schiava) Quello che invece ho trovato più lontano dalla realtà, soprattutto trattandosi di Schiava che tutti conosciamo per l’immediatezza. Ma è nella volontà dell’azienda di sperimentare qualcosa di diverso, non banale, come ha più volte ripetuto Clemens. Il risultato presenta un naso poco evidente, scuro, che non si apre mai e con chiari cenni di vegetale. Tan Sai . XVI (Tannat in purezza) manifesta subito una veste tannica intensa. Ma poi si apre un po’ in dolcezza di frutto. In bocca è più equilibrato e solletica. Evade anche in una certa freschezza che allieta. Un buon potenziale.
Periodo di Vendemmia Cor Romigberg 2016 (Cabernet Sauvignon ) analizzato prima con una vendemmia effettuata a inizio settembre e poi a fine (prove di botte). Nel primo caso si percepisce subito una chiusura più verde, per la raccolta anticipata, ma non per questo con declinazione negativa, anzi. Il dosaggio delle due componenti spinge verso un vino in perfetto equilibrio come è facile assaggiare con il Cor Romigberg 2015.