Tra gli enologi più schivi e “toscani”, per schiettezza, che conosco. Si distingue per la discrezione con cui conduce la sua vita professionale. E’ cresciuto alle Macchiole, un’azienda che ha firmato indelebilmente il suo portfolio. Oggi però sta sommando altre collaborazioni importanti, l’ultima in ordine di tempo a Prima Pietra, a Riparbella, l’azienda di Massimo Ferragamo. Ha anche delle collaborazioni di nicchia come a Castagneto Carducci a Poggio al Grillo, dove si dedica all’Aleatico e all’Isola d’Elba.

Si può dire che è cresciuto a Bolgheri. Oggi lavora alle Macchiole. Cosa ha rappresentato per lei la crescita in un’azienda così importante e di riferimento nel territorio?La mia crescita professionale sicuramente è andata di pari passo con quella aziendale delle Macchiole. Sono arrivato nella vendemmia 2008 in una realtà che aveva già un percorso qualitativo importante e di riferimento nel territorio. Mi sono calato in questo ‘mondo’ cercando di rispettare il lavoro di  tutte le persone  che nel passato e nel presente ci hanno aiutato a far si che oggi le Macchiole sia un punto di riferimento per la viticoltura bolgherese.

Cosa pensa dello sviluppo di questa realtà? Pensando all’età molto giovane di questa area viticola la crescita qualitativa è sotto gli occhi di tutti ed è dovuta principalmente alle potenzialità pedoclimatiche uniche di questo territorio. Negli ultimi anni vedo una impennata qualitativa costante e soprattutto una ricerca di uno stile personale di ogni produttore. Questo che piaccia o meno contribuisce alla crescita di Bolgheri.

Come enologo come si inserisce oggi nella visione un po’ confusa del produrre vini tradizionali, “naturali”? ​Mi sono evoluto anche su questo (ride, ndr). Caratterialmente diffido da tutti gli estremismi ma sono lo stesso propenso ai cambiamenti ragionati. La confusione è davvero tanta perché si pensa ancora molto ad etichettare qualcosa e non a scoprire cosa c’é dentro. L’approccio naturale è il presente ed il futuro della viticultura ma deve essere adottato quotidianamente con normalità e non come un metodo, una pratica di cui forgiarsi.

Molte aziende lavorano senza enologo…

Conosco molti proprietari di aziende con una preparazione ed esperienza  tali da poter insegnare non solo a me ma anche a molti dei miei colleghi. Resto convinto però che un confronto con un tecnico sia sempre fondamentale per consolidare le proprie sicurezze o magari per capire dove si sbaglia.

Cosa non deve perdere mai di vista un enologo oggi?

Rispetto al passato chi beve vino oggi ha una cultura ed una conoscenza diversa e più approfondita. L’enologo deve sì interpretare al meglio le potenzialità delle realtà che segue ma anche capire le esigenze del mercato ed i cambiamenti di gusto di chi compra.

Lei ha diverse consulenze, recente l’arrivo a Prima Pietra a Riparbella. La seconda azienda dopo La Regola.  Come gestisce aziende così vicine e diverse nello stesso areale?

La vicinanza in realtà è molto di aiuto poichè mi consente di interpretare le varie vendemmie, suggerendomi, strada facendo,  le scelte migliori da fare. Riparbella è un areale unico con delle potenzialità enormi, il lavoro che sto facendo nelle due aziende è proprio quello di ricercare uno stile legato al territorio.

Ha un vino di riferimento? Paleo 2008 , il mio portafortuna.

Il ruolo di enologo è cambiato molto negli ultimi 10 anni. Di pari passo col mondo del vino. Che ne pensa?

Si è evoluto di pari passo con il cambiamento del mondo del vino. L’enologo oggi si è spogliato un pò della veste del creatore e padre di un vino,  diventando, invece,  l’aiuto e il supporto determinante di tanti produttori.

Quali sono i suoi obiettivi quando si inserisce in un’azienda nuova? Studiare e rispettare il passato in primis per poi dare suggerimenti e confrontarsi sulle decisioni. L’imperativo è  valorizzare al massimo le potenzialità e l’espressività  di ogni realtà.

Quali sono i suoi principi professionali? Il suo vademecum?

Non ho molti protocolli, ormai ogni vendemmia è così differente. Penso che ogni vendemmia sia un opportunità per esaltare al meglio la materia prima che il lavoro duro fatto in vigna ci dona. Quindi anche in cantina si fanno cose semplici cercando di avere una costanza stilistica nei vini di differenti annate.

Obiettivi futuri? Da toscano, riuscire prima o poi a lavorare con dei grandi Sangiovesi.

Sogni nel cassetto? Non si chiude da quanti ne ho…

Cosa si aspetta dal futuro della viticoltura italiana? Vedo con piacere l’ingresso di molti giovani, sia proprietari sia tecnici. Questo è un segnale molto positivo e il fattore più avvincente per il futuro.

Qual’è il suo vino preferito? Cheval Blanc 1998, senza pensarci molto

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