Oreno e i suoi primi 20 anni. E’ più che maggiorenne il vino nato nei terreni del Valdarno ma che ha saputo sfidare il mondo conquistandolo. Da un background di Supertuscan, negli anni in cui questo stile impazzava ha saputo distinguersi e prendere una strada propria. Un vino che è stato capace, con fierezza, di descrivere un territorio ai margini delle Denominazioni di fama. E forse ne è stata anche la sua forza esplosiva. Un vino che non si è mai accontentato di essere giusto, ha sempre preteso di essere oltre i gusti, le mode, le convenzioni. Essere libero di evolversi seguendo espressività e vocazione territoriale. Con la maniacalità del conduttore Antonio Moretti Cuseri: prima con al fianco Carlo Ferrini e poi con Giuseppe Caviola, dal 2010. Dalla prima annata la 1999, in un blend che prevedeva un 50% di Sangiovese oltre ai vitigni internazionali Cabernet Sauvignon e Merlot, strada facendo le cose sono cambiate e molto. Una situazione che si è ribaltata dopo il 2010 e che ha visto proprio il Merlot aggiudicarsi il 50% del blend con Sauvignon e Petit Verdot. Da una sperimentazione capace di uscire con annate che lasciano il segno come la 2005, 2007 e 2008, prima annata privata di Sangiovese con l’arrivo del Petit Verdot. E poi l’emozione crescente degli ultimi 10 anni con punte incredibili di eleganza, pienezza e tessitura tannica vellutata. Un sorso mai stanco che diventa pura vitalità materica al palato. E si rinnova con tonalità saporite, colorate. Punte magiche con la 2015 e la 2016 seppur nella loro estrema diversità. E poi la 2018 di una raffinatezza che sconvolge i sensi.
La degustazione delle 20 annate è stata condotta dal primo Master of Wine italiano Gabriele Gorelli e il wine critic Luca Gardini a seguire la cena a firma dello chef due stelle Michelin Antonio Guida del ristorante “Seta”. Proprio al Mandarin Oriental di Milano infatti si è tenuta la verticale storica 1999-2019, l’ultima annata prodotta che ha creato anche una edizione limitata, la Magnum Oreno 2019 Toscana IGT con etichetta speciale “Celebrating 20 Years of Oreno, 1999-2019”.
«Oreno nasce dal desiderio di fare un grande vino, cercando di fare meglio e sempre di più» spiega Antonio Moretti Cuseri. «Venivo da una lunga esperienza nel mondo della moda e a un certo punto ho fatto una scelta; quella di dedicare la maggior parte della mia vita alla campagna e di conseguenza alla vite. La mia più grande soddisfazione è stata, in seguito, quella di osservare i miei figli Alberto e Amedeo fare la stessa scelta e lavorare nel vino con me con un obiettivo comune sin dal principio, ossia quello di portare nel mondo del vino stile, attenzione ai dettagli e creatività».
Alla degustazione era presente anche Giuseppe Caviola, enologo consulente di Tenuta Sette Ponti, che ha voluto così commentare l’unicità di espressione di Oreno «Ciò che ho cercato di fare è mettere in evidenza i tratti distintivi e i caratteri di questo territorio e dei vitigni. Parcellizzare al massimo per tirare fuori le variabili che si traducono in complessità e carattere. La vinificazione prevede rimontaggi frequenti ma molto brevi, una sorta di metodo infusivo: estrai aromi e tannino nobile senza andare in sovra estrazione. L’affinamento in legno nuovo poi varia a seconda delle caratteristiche intrinseche dell’annata, è lei che suggerisce cosa fare”.
LA VERTICALE DI 20 ANNI: 1999-2019
Le annate che mi hanno colpito di più sono state tante e per diverse caratteristiche, prima fra tutte la 1999, la prima annata, che conserva ancora integrità al palato. La 2000 per il sale marino che riesce ad emanare e rilasciare a chiusura sorso. La 2005 si è rivelata un’annata molto bella da bere in questo momento con una gioviale freschezza e un bel vegetale. Qui si vive la riduzione del Sangiovese da 50% al 20%. Molto saporito ed elegante. Un cambiamento che diventa ancora più tangibile con la 2006, un’annata segnata da una temperatura più calda rispetto alla 2005 ma in cui si comincia a cercare con ardore la finezza pur mantenendo caratteri carnosi e selvatici. La 2007, in questa fase, mi ha entusiasmato, perché seppur annata complicata, dà il meglio di sé. Mi piace il carattere che esce in annate non da manuale. Il vegetale si fa croccante e si mischia bene alle note più dolci rendendo il sorso completo. Il tannino è presente e si fa sentire ma l’ensemble mi porta nel Medoc, chiudendo gli occhi vivo un’emozione bella e che conserverò nella memoria.
La 2008 si fa più centrata, il Sangiovese lascia il blend per sempre e si aggiunge un 15% di Petit Verdot. Si rende molto morbido ed è forse il vino che si fa maggiormente specchio del taglio bordolese nell’immaginario collettivo. Nel 2010 il Merlot comincia a farsi spazio con audacia sincera e affonda nella 2013 che diviene scura in profondità riempiendo la bocca ma con elasticità, vivacità. Resta anche la tensione e la materia. Un calice molto ricco. La 2014 seppur annata fresca e non ritenuta da molti degna di essere condivisa invece manifesta energia, esile ma pungente in acidità, gioca molto sul palato in verticalità.
La 2015 è una bomba. Di polpa bellissima, un vino denso, intenso, potente e preciso. Dal frutto piccolo come il ribes, il mirtillo, la mora, in bocca arriva piano piano e poi stacca in volata. Balsamico, selvatico ma elegante. E’ infinito il sorso. La 2016 annata di estrema eleganza e finezza. Setoso e armonico. Più immediato, più leggiadro. Anche qui i frutti di sottobosco si sprecano e si mischiano agli odori di macchia e mediterranei come la menta. La 2017 si fa sottile ma piacevole con note più acide e agrumate. Pepe rosa e melograno. Rapido ma vivo. La 2018 è strabiliante, un bouquet di fiori che stordisce di bellezza espressiva e non aggiungo altro.
La 2019 sposa fiori rossi e amarena. Ha un sorso molto sereno in bocca con una punta di grafite quasi graffiante, ma di piacevolezza. E ancora mirtillo, susina nera. Rilancia sul frutto. Giovane di bellezza e immenso in prospettiva. Danza nel palato con armonia e lucidità. Rapisce e fa sognare.