Sono arrivati a Vittoria nel 2001, dopo 20 anni nel Chianti Classico, a Panzano per la precisione, con Villa Cafaggio. Poi nel 2016 si è aggiunta Cortese ad appena 8 chilometri da Santa Tresa. Stefano e Marina Girelli sono due fratelli trentini da tre generazioni immersi nel mondo del vino. Una sperimentazione continua. Ora il focus è sulle bollicine di Frappato è infatti in arrivo un metodo champenoise.

La scelta della Sicilia dopo il Chianti Classico. Perché?

Villa Cafaggio è stata un’esperienza professionale stimolante e di alta qualità. Una storica azienda nel cuore del Chianti Classico: un trentino come me in una delle culle dell’enologia italiana. La Toscana mi ha dato molto e io ho cercato di dare a lei una realtà attenta all’ambiente e strettamente territoriale ma con una visione moderna e dinamica. L’ho lasciata, così come ho lasciato Casa Girelli per un motivo personale: tornando a casa dopo l’ennesimo viaggio negli Stati Uniti, mi sono accorto che non vedevo crescere i miei figli e che non mi ricordavo più cosa volesse dire avere del tempo libero. La Sicilia è stata un colpo di fulmine agli inizi degli anni Duemila, un amore a prima vista.

Cosa ha lasciato e cosa ha trovato?

Ho lasciato molto ma ho anche trovato molto. A stregarmi della Sicilia sono state le sue enormi potenzialità ancora inesplorate e la possibilità di fare davvero viticoltura biologica. Io, che aspetto la bella stagione per andare in montagna ad arrampicare e passo l’inverno sciando, ho scoperto a Vittoria una natura totalmente diversa, a pochi km dal mare, generosa e varia. Un continente racchiuso in un’isola, un giardino incredibile. Oltre ad un patrimonio di varietà e biotipi interessantissimo. Un’azienda da sempre coltivata secondo i dettami del biologico che è per me un cardine della nostra filosofia che si allarga a una visione che comprende, rispetto totale della natura, produzione di vini vegani, tutela delle risorse idriche e della biodiversità. Un legame con la Toscana e con le sue grandi professionalità rimane: il nostro consulente enologo è Stefano Chioccioli che affianca il nostro Mattia Giacomelli, trentino come me.

Vittoria. Un luogo e le loro autoctonie, in particolare del Frappato…

Il Frappato, ancora oggi, è una delle sfide che mi appassionano di più. A Santa Tresa abbiamo un clone particolare, con acini fragili che hanno richiesto un’impegnativa ricerca (e qualche errore iniziale) per riuscire ad interpretare al meglio questa varietà. Oggi sono soddisfatto del risultato: il nostro Frappato Fermo, Rina Russa, è un vino versatile con una straordinaria eleganza. Io lo definisco una ballerina per la sua raffinatezza.  Siamo stati i primi a realizzare una versione spumante, con il nostro Frappato Brut metodo italiano e oggi stiamo lavorando su uno champenoise che sarà pronto tra qualche anno. Mi sto mettendo alla prova anche nella realizzazione di un Frappato in purezza con fermentazione in anfora. L’altra mia grande passione siciliana è il Cerasuolo di Vittoria, unica Docg della Sicilia e una delle più piccole d’Italia. Tra le varietà con cui mi piace confrontarmi vi è il Grillo che produciamo sia in versione spumante che in un blend con il Viognier nel nostro Rina Ianca.

Ma c’è anche un’altra azienda …

Esatto, nel 2016 io e mia sorella Marina abbiamo acquisito Cortese, un’azienda agricola che si trova sempre a Vittoria. Cortese e Santa Tresa sono due realtà situate a 8 chilometri una dall’altra ma che sono profondamente diverse tra loro per terroir e genotipi di vitigni.  Questo è quello che mi fa innamorare della Sicilia ogni giorno. Siamo prima di tutto viticoltori, la natura è la nostra materia prima principale e mi piace lasciare che si esprima con i suoi tempi, interpretando la stessa varietà in un modo completamente diverso nell’una e nell’altra azienda. Se standardizzassi le due produzioni annullerei la mia fortuna: avere dei cloni differenti. Per questo pratichiamo anche la selezione massale. A Cortese produciamo sei etichette, tutte bio e vegan, divise in due linee: la selezione, composta dal bianco Vanedda, dal Cerasuolo di Vittoria Sabuci e dal Nero d’Avola Senia, e Nostru che comprende un Catarratto Lucido, un Carricante e un Nerello Mascalese.

Il vostro è un mondo bio/ vegan. Immagino non sia una scelta di tendenza…

Alla mia età ho il privilegio di poter fare delle scelte anche controcorrente senza badare alle mode. A parte gli scherzi, no, non è una scelta di tendenza è una direzione che ho seguito sempre nella mia vita. Preservare la natura è un mio dovere. Non attuiamo nessun intervento chimico per alterare le caratteristiche del terreno o per accelerarne i tempi di recupero.  Ad ogni lembo di terra diamo la possibilità di produrre e reagire secondo i propri ritmi ed esprimersi nella sua unicità, nella convinzione che sia questo il significato profondo del termine “biodiversità”. Siamo molto più che biologici, si tratta di una mentalità, è il nostro modo di vivere. Utilizziamo esclusivamente metodi di fertilizzazione naturale, rispettosi dell’ecosistema, come il favino (prodotto in autonomia), pratichiamo la confusione sessuale e altre misure green. La scelta di produrre vini vegani è la chiusura del cerchio e un modo per essere coerenti con noi stessi e con chi sceglie i nostri vini.

La zona di Vittoria ha ancora moltissimo potenziale inespresso in fatto di produzione vitivinicola… su cosa ci può puntare per spiccare sulle altre zone a vocazione siciliane?

Suolo, sole, clima: con tutte le sue difficoltà, la Sicilia è e resta un giardino capace di generare i migliori frutti. Quello di Vittoria è un territorio primitivo, capace di resistere, adattarsi e rinnovarsi. Vergine alle logiche di appiattimento della diversità portate dallo sfruttamento intensivo, un suolo che parla una sua lingua unica. Credo che il Frappato e il Cerasuolo di Vittoria siano le nostre carte vincenti per valorizzare un’enologia dalle radici antiche e per rispondere al consumatore moderno che vuole scoprire le tipicità e non si accontenta di un altro Chardonnay, vuole qualcosa che abbia una storia e una sua unicità.

Progetti e futuro

Al momento stiamo investendo per essere ancora più sostenibili attuando un recupero quasi integrale dell’acqua impiegata nei processi di produzione. Inoltre vorremmo riportare alla luce alcuni vitigni oggi scomparsi: in collaborazione con l’università di Marsala, a Santa Tresa coltiviamo un campo sperimentale condotto in agricoltura assolutamente biologica, dedicato alla riscoperta e caratterizzato da espressioni di vitigni autoctoni, tradizionali e da loro diversi biotipi. Alcuni di questi biotipi, come l’Albanello e l’Orisi, sono vere e proprie testimonianze viventi dell’antica tradizione enologica siciliana che rischiavano l’estinzione e che Santa Tresa sta recuperando. Il Vigneto è inserito in un progetto che ha visto coinvolta la Regione Siciliana – Ass. Reg. Agricoltura e Foreste.

 

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