Il cognome può dirla lunga sulla sua storia nel vino. In realtà, come non tutti avrebbero fatto, se ne è stato in disparte. Lavorando a testa bassa. Di sicuro il legame con Montalcino è un legame di sangue. Indissolubile. Classe ‘79, Emanuele Nardi è nato ad Anghiari. Il primo passo è stato la laurea in enologia a Perugia poi la gavetta. Tra il 2005 ed il 2007 ha collaborato con il Prof. Mario Fregoni per uno studio in collaborazione con l’azienda Case Basse-Soldera e poi il lavoro in cantina a Bolgheri, alla Tenuta di Biserno accanto al geniaccio di Lodovico Antinori. Insomma qualche nome a caso direi nel panorama vitivinicolo mondiale. Poi è arrivato anche l’estero, in California, presso una delle aziende del gruppo Kendall-Jackson Estates e ancora Francia. Qui si è formato sui processi di vinificazione alla Facoltà di Enologia ‘Victor Segalen Bordeaux 2’, collaborando a lungo prima con il Prof. Yves Gloriés e in seguito con l’enologo Eric Boissenot. Dal 2008 il ritorno a casa, l’azienda di famiglia. Ma adesso è pronto ad una nuova sfida. Ad aprile il passaggio a Tenute del Cerro come enologo responsabile di produzione.
La sua storia da enologo. Quali i momenti di maggior soddisfazione o quelli che hanno segnato un cambiamento. Sia positivo o negativo.
Il primo grazie va alla famiglia che mi ha dato la possibilità di fare esperienza non solo “in casa” e di lavorare al fianco di grandi professionisti, fin da giovanissimo. Per fortuna sono entrato in cantina con tuta, scarponi e guanti e non in giacca e cravatta. Tornare a casa per tanti anni con una bella macchia di vino rosso sulla maglietta e con le mani viola è una cosa che ti insegna da dove si parte, cosa fondamentale per capire dove si vuole andare. I momenti di maggior soddisfazione sono legati non tanto al vino finito in sé, quanto al rendersi conto dell’apprezzamento verso il proprio lavoro da parte di chi lo assaggia, sia esso un grande degustatore o un amatore. Ogni annata ha rappresentato per me un cambiamento, niente è mai scontato, ci si deve sempre rimettere in discussione.
Il passato? Sudore e tanto studio, quest’ultimo in realtà non finisce mai.
Il presente? Nuove sfide e grandi stimoli.
Il futuro? Il mio lavoro, che mi appassiona e che saprà guidarmi come ha fatto fino ad ora.
Cosa vuol dire nascere con un cognome così storicamente legato al vino?
Se da una parte mi ha permesso di nascere e crescere tra vigne e mosti, con grande orgoglio verso mio nonno e l’importanza che ha avuto la sua figura nella storia del Brunello di Montalcino, dall’altra è stato un enorme peso da portare sulle spalle. Fino ad oggi il mio cognome ha sempre influenzato la mia figura professionale.
E cosa vuol dire fare una scelta così? Allontanarsi da casa per seguire un nuovo gruppo. E’ stata una scelta ben ponderata, presa nel momento in cui mi si è presentata davanti una nuova sfida e nuovi stimoli di cui a 40 anni ho capito di aver bisogno.
Ci parla del nuovo ruolo? Oggi sono l’enologo e responsabile di produzione del gruppo Tenute del Cerro, che attualmente conta 4 aziende vitivinicole tra Toscana ed Umbria. Un ruolo di cui sono onorato e che mi auguro mi accompagni a lungo verso nuovi traguardi.
Cosa la appassiona oltre al vino? Sono senza dubbio un grande amante di natura, storia e scienza. Il mio tempo libero lo dedico a viaggi in città storiche, musei e quando possibile pesca e caccia.
Quando ha capito e come che il vino rappresentava il suo futuro? Sin da adolescente ho sempre pensato di non essere fatto per stare dietro ad una scrivania, stavo bene a contatto con la natura ed in mezzo ai vigneti. Il resto è venuto da sé.
Il vino che l’ha entusiasmata? Ce ne sono molti in realtà, il più recente è il Barbaresco Montefico 2013 di Roagna.
Quello che avrebbe voluto fare? Chateaux Beau-Séjour Bécot 1989.
Il vino che non smetterebbe mai di bere … Il rosso di Montalcino.
La bottiglia che ha segnato la sua crescita? In realtà non era una bottiglia o un vino finito ma un mosto spillato da uve appena pigiate, quel mosto, “da grande”, sarebbe diventato il Brunello di Montalcino 2005 Case Basse-Soldera.
Il ruolo di enologo ieri e oggi. Com’è cambiato? Se penso al ruolo dell’enologo ieri, non posso che riferirmi alla grande figura di Giacomo Tachis. Non c’erano grandi strumenti a disposizione se non i propri sensi e le proprie idee, innovative per allora. Oggi l’enologo è chiamato ad interpretare i territori nel modo più delicato possibile, spesso con la difficoltà di doversi rapportare a gusti sempre più orientati alla finezza e linearità. Simbolo di ieri, che oggi rappresenta alla perfezione questa idea è Giulio Gambelli. Dico sempre che non ci si improvvisa viticoltori ed enologi, ma lo si diventa con anni di esperienza, facendo tesoro di errori commessi, di scelte talvolta sbagliate, cercando nella maniera più scientifica possibile di interpretare al meglio ciò che la natura ci suggerisce.
Cosa per lei è importante rispettare sempre nella vostra professione ? Senza dubbio l’uva, la sua identità, le peculiarità ed il territorio che la ospita.
E cosa invece andrebbe proprio rivisto? Tutto ciò che entra in contrasto con la natura e con le sue logiche.
Da Montalcino a Montepulciano. Ci parla di questa nuova scommessa? Montepulciano è terra di Sangiovese, da sempre in continuo confronto con il suo vicino ‘gigante’, Montalcino. La vera scommessa è riuscire a comprendere ed interpretare le peculiarità di un territorio diverso ma ugualmente eccezionale, cercando di esaltarne l’identità e l’unicità.